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Febbraio 2020

Tassonomia EU: la mappa della transizione ambientale

Le nuove regole EU sulla finanza sostenibile richiederanno significativi investimenti per la riconversione industriale, con impatti particolarmente consistenti in alcuni distretti local

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La transizione verso un’economia pienamente sostenibile potrebbe avere impatti molto significativi sul nostro sistema economico, in particolare su alcuni distretti produttivi specializzati in attività che dovranno azzerare l’impatto climatico entro il 2050. Questi distretti sono spesso caratterizzati da una forte presenza di imprese finanziariamente fragili, che avranno difficoltà a finanziare la transizione energetica. È il risultato di un’applicazione dei dati di Cerved alla tassonomia sulla finanza sostenibile definita dall’EU Expert Group on Sustainable Finance.

In particolare, la tassonomia si è concentrata su sette macro-settori economici che contribuiscono maggiormente alle emissioni di CO2: agricoltura, pesca-silvicoltura, manifatturiero, elettricità, gas, riscaldamento, logistica e trasporti, costruzioni e immobiliare.

L’agenda europea e la tassonomia sulla finanza sostenibile

L’Unione Europea ha recentemente promosso lo European Grean Deal, un piano che dovrebbe mobilitare più di 1.000 miliardi di euro di investimenti sostenibili nei prossimi 10 anni. Già nel marzo 2018 la Commissione aveva adottato un Piano di Azione sulla finanza sostenibile, che mira a orientare i flussi di capitale verso investimenti sostenibili.

Tra le azioni più urgenti messe in campo in questo ambito vi è la creazione di un meccanismo di classificazione delle attività economiche finalizzato proprio a indirizzare gli investimenti verso un’economia “low carbon”. Nel giugno del 2019, un gruppo di specialisti di settore nominato dalla Commissione Europea (Technical Expert Group – TEG), ha stilato una tassonomia delle attività economiche sulla base del contributo al miglioramento della sostenibilità ambientale. La tassonomia ha individuato le attività che continueranno a sopravvivere nel contesto di un’economia a zero emissioni nette nel 2050, identificando dei settori target il cui contributo risulta cruciale per innescare processi di climate change mitigation e adaptation.

In particolare, la tassonomia si è concentrata su sette macro-settori economici che contribuiscono maggiormente alle emissioni di CO2: agricoltura, pesca-silvicoltura, manifatturiero, elettricità, gas, riscaldamento, logistica e trasporti, costruzioni e immobiliare.

Nell’ambito di questi settori, la tassonomia ha individuato le attività economiche per cui, se sono soddisfatte certe condizionalità, è prevista l’ammissibilità dei finanziamenti in base agli obiettivi di climate change mitigation. Sono distinti due gruppi:

  • Greening by: attività la cui diffusione attiva miglioramenti nelle performance ambientali di altri settori e limita gli impatti negativi sull’ambiente (es. Produttore di turbine eoliche o azienda che installa finestre a triplo vetro)
  • Greening of: attività che possono essere caratterizzate da alti livelli di emissione. In questo caso gli investimenti sono ammissibili in due casi:
    • se secondo i technical screening criteria (TSC) l’attività è già low carbon (es. società che genera energia con fonti rinnovabili)
    • se la società pianifica una transizione energetica, impegnandosi a rispettare TSC progressivamente più rigorosi fino ad azzerare gli impatti ambientali: si tratta di attività “transitional”, che devono riadeguare i loro modelli di business per non uscire dal mercato (es. acciaieria che pianifica una riconversione del suo modello di produzione).

I TSC includono principi di natura qualitativa che motivano la scelta di includere l’attività all’interno della tassonomia, metriche di monitoraggio delle performance ambientali e criteri soglia da prendere in considerazione affinché le attività possano contribuire ad un’effettiva riduzione dell’inquinamento.

L’applicazione dei dati Cerved alla tassonomia

Nel complesso, la tassonomia proposta dalla Commissione Europea può costituire un utile strumento per individuare i sistemi economici sui quali i nuovi sistemi di regole e incentivi a favore della climate change mitigation produrranno i maggiori impatti, richiedendo quindi maggiori investimenti.

In base a un’approfondita analisi della tassonomia, Cerved ha identificato i settori merceologici che corrispondono alle attività economiche che, secondo gli esperti del TEG, potrebbero contribuire maggiormente alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Nell’ambito di questi settori merceologici, ne sono stati identificati alcuni “transitional”, quelli che dovranno affrontare i cambiamenti energetici. Si tratta di una semplificazione rispetto alle regole della tassonomia (che richiederebbero di distinguere all’interno dei settori in base ai TSC), che comunque rappresenta una buona approssimazione degli impatti della tassonomia.

Il peso dei settori della tassonomia sul sistema produttivo italiano

I settori individuati dalla tassonomia hanno un peso rilevante sul sistema produttivo italiano, sia in termini di indotto economico ed occupazionale che di esposizione finanziaria. Secondo i dati dei nostri archivi, a livello nazionale le imprese operative nei settori identificati dalla tassonomia sono 203.023 (il 27,5% delle società di capitale italiane), impiegano 1 milione e 800 mila addetti (17,5%) e generano nel complesso un fatturato di oltre 400 miliardi di euro (15,1%). Le imprese operanti in attività transitional sono circa 148 mila (il 73% delle imprese della tassonomia) e impiegano 840 mila addetti (il 53,5% degli addetti della tassonomia).

Il peso occupazionale dei settori della tassonomia rispetto al totale degli addetti impiegati nelle società di capitale è pari al 17,5%, e all’8,3% facendo riferimento alle sole attività transitional.

Dati di maggiore dettaglio indicano che sono relativamente più specializzate nei settori transitional le imprese più piccole (18,8% del totale degli addetti delle micro, contro una media dell’8,3%) e quelle che hanno sede nel Mezzogiorno (11,4% contro 8,3%).Una parte consistente della riconversione energetica riguarderà quindi imprese piccole e microaziende, società generalmente caratterizzate da flessibilità e capacità di adattamento ma anche da maggiori difficoltà a reperire esternamente le risorse finanziarie necessarie per affrontare la trasformazione.

A livello più granulare, i dati sul peso occupazionale delle attività della tassonomia fanno emergere un quadro piuttosto eterogeneo, con un’incidenza tendenzialmente più alta nelle province del Sud.  La provincia che in termini di impiego risulta maggiormente specializzata nelle attività dalla tassonomia è Taranto, con un’incidenza pari al 31,2% del totale degli addetti nelle società di capitale, seguita da Aosta e Terni (31,2% e 30,3%), valori ampiamente superiori alla media italiana (17,5%). Restringendo l’analisi alle attività transitional, quelle che saranno maggiormente interessate da interventi di riqualificazione per ammodernare gli impianti produttivi, ai primi posti della classifica ci sono Taranto (22,7%) e Terni (19,4%).

La capacità di investimento delle imprese che devono affrontare la transizione

Le informazioni di Cerved relative al rischio e ai bilanci delle imprese che rientrano nella tassonomia sono utili per valutare i potenziali spazi finanziari di cui dispongono le società per effettuare i maggiori investimenti richiesti dalla transizione energetica.

In media, le aziende che operano nei settori della tassonomia sono più fragili del resto dell’economia, con un rapporto tra debiti finanziari netti ed EBITDA pari a 4,1 (5,1 per le attività transitional) contro un indice di 2,1 del totale delle imprese. Questa maggiore fragilità può limitare la capacità delle imprese di effettuare gli investimenti necessari per la riconversione energetica.

Utilizzando alcuni indici noti in letteratura è possibile quantificare il potenziale indebitamento aggiuntivo delle imprese caratterizzate da un basso rischio di default, compatibile con il mantenimento di una struttura finanziaria equilibrata.

Tra le 203 mila imprese operanti nell’insieme delle attività individuate dalla tassonomia abbiamo individuato 76 mila imprese solide, con una probabilità di default molto ridotta, che potrebbero avere la struttura finanziaria adatta per aumentare il proprio grado di indebitamento per finanziare investimenti mantenendo un grado di rischiosità estremamente contenuto. Se i debiti finanziari di queste aziende aumentassero, fino a raggiungere il rapporto di due volte l’EBITDA, l’indebitamento complessivo nel totale delle attività identificate dalla tassonomia potrebbe crescere di 55 miliardi di euro, con incrementi nell’ordine di 27,5 miliardi di euro per le attività transitional.

A livello territoriale, la gran parte delle risorse finanziarie che possono essere mobilitate per investimenti di riconversione ecologica si concentra nelle regioni del Nord (40 mld su 55 mld totali), mentre nel Mezzogiorno – l’area caratterizzata dall’incidenza occupazionale più alta nei settori della tassonomia – il potenziale da investire è di solo 6 miliardi di euro.

L’impatto di questi investimenti sarebbe pari al 6,9% dell’attivo del complesso delle società classificate nella tassonomia (comprese le più rischiose e quelle con un indebitamento oltre il doppio dell’EBITDA) e al 6,2% dell’attivo nei settori transitional, un ordine di grandezza probabilmente non adeguato per sostenere i cambiamenti richiesti.

Se questa analisi si cala a livello provinciale, si osserva una forte eterogeneità: il rapporto tra investimenti potenziali e attivo delle imprese che operano nei settori transitional va dal 15,8% di Enna al 2,2% di Catanzaro.

Mettendo in relazione specializzazione occupazionale e incidenza del potenziale di indebitamento sugli attivi per le 105 province italiane si osserva una correlazione negativa tra le due variabili, in particolare per le attività transitional: In particolare, molte delle province che figurano ai primi posti in termini di incidenza occupazionale nei settori transitional (ad es. Taranto, Aosta, Grosseto, Ragusa, Agrigento e Siena) sembrano non disporre di un margine di indebitamento necessario per investire e riorientare il sistema produttivo verso parametri più ecologici.

 Il rapporto Debiti finanziari netti / EBITDA è spesso impiegato per classificare il livello di indebitamento delle imprese: solitamente, un valore del rapporto inferiore a 2 indica un livello di indebitamento non elevato e, quindi, facilmente sostenibile. Per misurare gli spazi per maggiori investimenti si calcola, per le imprese che hanno un indice inferiore a 2 caratterizzate da una bassa probabilità di default (Cerved Group Score nell’area di sicurezza o solvibilità), il volume di maggiore indebitamento per raggiungere la soglia di 2.

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