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Aprile 2020

Nessuna impresa deve fallire per il COVID-19

Per evitare di perdere capacità produttiva ed entrare in una recessione lunga e difficilmente sostenibile, l'Italia deve difendere il suo sistema imprenditoriale.

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Copertina di 'Nessuna impresa deve fallire per il COVID-19'

In questo rapporto Cerved mette a disposizione il suo patrimonio di informazioni e conoscenze per aiutare il sistema a prendere decisioni informate, anche al fine di un utilizzo efficiente delle risorse pubbliche.

L’Italia arriva di fronte a quello che sarà probabilmente il più grave shock economico del dopoguerra, senza mai essersi del tutto ripresa dalla doppia recessione del 2008-09 e del 2012-13, con un livello di attività economica ancora al di sotto di quello pre-crisi e con una dinamica di crescita da anni inferiore ai nostri partner europei. Le imprese però ci arrivano più forti: l’ondata di fallimenti che ha colpito l’economia, insieme al credit crunch, ha innescato un processo di selezione darwiniana che ha reso le società meno indebitate e finanziariamente più solide. Il sistema è caratterizzato da un profilo economico-finanziario eccellente, con poche imprese ‘zombie’: una nuova crisi ha il potenziale di spazzare via dal mercato aziende con fondamentali solidi.

Secondo le nostre previsioni, l’emergenza sanitaria potrebbe generare una caduta dei ricavi del 18% tra 2020 e 2019, con una perdita del fatturato che potrebbe arrivare a 640 miliardi tra 2020 e 2021. In alcuni settori, come ad esempio per quelli che operano nel turismo, la caduta potrebbe essere drammatica, pari a tre quarti del fatturato nel 2020. Il crollo delle vendite avrà impatti molto significativi sul nostro sistema produttivo: la quota di imprese rischiose, che secondo il Cerved Group Score era pari al 14,6% prima del COVID-19, potrebbe arrivare al 33% a seguito dell’emergenza. Il volume di debiti finanziari nei bilanci di società rischiose – potenziali NPL – passerebbe da 73 a 189 miliardi di euro; se si includono anche le società vulnerabili, da 260 a 411 miliardi, circa la metà di quelli nei bilanci delle società di capitale.

Una simulazione sui bilanci delle società di capitale indica che un numero compreso tra 100 mila e 145 mila imprese potrebbero entrare in crisi di liquidità per effetto del COVID-19, con effetti che dipendono dalla rapidità con cui il sistema riuscirà a uscire dall’emergenza o a riprendere a operare con modalità che salvaguardino la salute pubblica. Gli impatti occupazionali sarebbero rilevanti: il numero di lavoratori coinvolti arriva a 3,2 milioni, oltre il 30% di quelli occupati nelle aziende analizzate.

Secondo i nostri calcoli, per “salvare” queste imprese dalla crisi sarebbe necessario iniettare una liquidità compresa tra 30 e 80 miliardi di euro, a seconda della durata dell’emergenza. Le risorse da immettere nel sistema supererebbe ampiamente questa cifra, se si volesse ripristinare la liquidità di partenza delle imprese e se si considerano le società che sarebbero entrate in crisi anche senza l’emergenza sanitaria.

La potenza di fuoco annunciata dal Governo nei decreti CuraItalia e nel Decreto n. 23 dell’8 aprile sulla liquidità delle imprese, 400 miliardi di euro, sono più che sufficienti per queste esigenze e coprono abbondantemente anche quelle di professionisti e società di persone. È però necessario che le risorse arrivino tempestivamente nelle casse delle imprese: secondo i nostri calcoli, oltre la metà delle società in difficoltà andrebbe in crisi entro la fine di aprile.

In una situazione di emergenza economica senza precedenti, l’utilizzo della tecnologia e dei dati si potrebbe rivelare fondamentale per dare un sostegno immediato al sistema economico, preservando efficacia e un utilizzo efficiente delle risorse pubbliche. In particolare, alcune misure che potrebbero aiutare il sistema a supportare questa difficile fase sono le seguenti:

  • Utilizzo di sistemi di scoring per fornire immediatamente la liquidità alle imprese meno rischiose, riservando le istruttorie più approfondite alle società più fragili. L’ammontare di credito che va fatto fluire nel sistema produttivo in breve tempo è senza precedenti e questo non può essere fatto con procedure standard. Un utilizzo di dati e tecnologie renderebbe i processi più veloci, salvaguardando l’efficienza.
  • Rafforzamento delle piattaforme di digital invoice financing, attraverso l’investimento da parte di un soggetto pubblico come investitore nei titoli di cartolarizzazione emessi dal cessionario del credito. Il volume di crediti commerciali nei bilanci delle società di capitale vale circa 600 miliardi di euro, quello delle imprese che rischierebbero di entrare in crisi di liquidità a 174 miliardi. Il vantaggio di un intervento del genere è una procedura rapidissima, completamente on line, che fornirebbe alle imprese liquidità in tempi brevi.
  • Misure di sostegno alla capitalizzazione delle imprese, convertendo i nuovi finanziamenti iniettati nel sistema in strumenti partecipativi (SFP), con possibilità per le banche di cederli, a certe condizioni e a un prezzo determinato, a un veicolo pubblico che li gestisca. La liquidità iniettata nel sistema infatti non eviterebbe le perdite e un numero significativo di imprese potrebbe avere patrimonio netto negativo al termine dell’emergenza, costringendo le banche a classificare i prestiti a queste imprese come NPL.
  • Il pagamento dei debiti commerciali della PA. Secondo le stime più recenti della Banca d’Italia la pubblica amministrazione deve ancora 53 miliardi di euro alle imprese. La piattaforma oggi disponibile consente solo la certificazione delle fatture ma non di trovare un acquirente. L’attivazione di partnership con piattaforme Fintech potrebbe consentire uno sconto commerciale di queste fatture per una vendita agli investitori e una rapida liquidazione delle somme dovute dalla PA.
  • Impiegare i big data per riavviare velocemente la produzione. Tanto più a lungo durerà la fase di lockdown, tanto più alti saranno i costi per le imprese e le conseguenze sociali. L’abbinamento dei dati relativi alle transazioni economiche con quelli di mobilità territoriale possono dare informazioni puntuali sugli impatti delle chiusure sull’attività economica e sugli assembramenti. Con una geolocalizzazione di queste informazioni, si potrebbe ottimizzare la fase di ripresa, tenendo anche conto dei contagi. Informazioni di questo tipo consentirebbero anche di individuare le produzioni che non mettono in pericolo la salute dei lavoratori, evitando blocchi che comportano solo perdite economiche.
  • Utilizzare le risorse pubbliche per rilanciare in modo strutturale crescita e produttività, puntando su digitalizzazione e AI. Gli interventi per contenere i costi dell’emergenza sanitaria possono mobilitare ingenti risorse: è importante indirizzare questi interventi per rilanciare nel medio-lungo periodo la produttività italiana attraverso lo sviluppo dei servizi legati ai big data e all’intelligenza artificiale.
  • Definire modelli per l’utilizzo delle risorse pubbliche che rilancino la crescita sostenibile del Paese. Gli interventi per affrontare l’emergenza mobiliteranno ingenti risorse e avranno effetti di medio e lungo termine. E’ dunque importante considerarne gli impatti economici, sociali e ambientali, per indirizzarli verso un modello di crescita sostenibile.
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