La sostenibilità finanziaria è stata invece sintetizzata dal Cerved Group Score 2021, che definisce la probabilità di default effettiva delle imprese e che considera anche le conseguenze della pandemia. In questo caso, gli score sono stati raggruppati in tre cluster: le PMI “sane”, quelle per cui eventuali impatti finanziari non ne minacciano la sopravvivenza sul mercato; le PMI “appesantite”, per cui il volume di debito è oltre i livelli di guardia e può avere impatti sull’operatività e infine le PMI “infortunate”, con una condizione finanziaria che può pregiudicarne la capacità di rimanere sul mercato. Combinando queste due valutazioni, sul campione di 153 mila PMI attive nel 2020, è possibile identificare 27 mila purosangue appesantiti o infortunati che, secondo i criteri del documento del G30, sono i candidati naturali ad interventi di supporto: sono società colpite dalla pandemia, ma con un modello di business che garantisce buone prospettive. Il secondo gruppo su cui bisognerebbe valutare un intervento è quello dei 27 mila mezzosangue appesantiti o infortunati: in questo caso si deve però considerare il maggior rischio di investire in società che potrebbero comunque uscire dal mercato, date le prospettive economiche incerte. Viceversa, non bisogna intervenire sulle 92 mila PMI “sane”, che possono rivolgersi al mercato. Quanto agli 8 mila ronzini, che non hanno prospettive economiche, servono interventi di ristrutturazione più radicale o che ne accompagnino l’uscita dal mercato, riducendo i costi sociali.