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Marzo 2019

Rapporto PMI Mezzogiorno 2019: serve più capitale e più export

Le PMI del Sud vantano un fatturato di tutto rispetto (oltre 136 miliardi di euro), un valore aggiunto di quasi 32 miliardi di euro e debiti finanziari per oltre 34 miliardi di euro.

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Secondo il Rapporto PMI Mezzogiorno 2019, realizzato con dati Cerved, fino al 2017, si osserva una ripresa caratterizzata dal ripopolamento del tessuto di PMI e dal recupero di fatturato e valore aggiunto. Nel corso del 2018 si avvertono segnali di rallentamento che potrebbero abbattersi su un sistema di PMI uscito dalla crisi con un maggior grado di solidità economico-finanziaria, ma con livelli di redditività ancora troppo bassi. In questo quadro di debolezza congiunturale, è necessario intervenire su tre fattori: la capitalizzazione e la crescita dimensionale, l’apertura del capitale, la propensione all’esportazione.

Le PMI del Sud  vantano un fatturato di tutto rispetto (oltre 136 miliardi di euro), un valore aggiunto di quasi 32 miliardi di euro e debiti finanziari per oltre 34 miliardi di euro: da sole, dunque, le 30 mila PMI analizzate valgono poco meno del 10% del PIL meridionale. Sebbene configurino una dimensione economica di assoluto rilievo, tali imprese costituiscono solo un segmento minoritario del tessuto produttivo nazionale.

Le PMI del Sud  vantano un fatturato di tutto rispetto (oltre 136 miliardi di euro), un valore aggiunto di quasi 32 miliardi di euro e debiti finanziari per oltre 34 miliardi di euro: da sole, dunque, le 30 mila PMI analizzate valgono poco meno del 10% del PIL meridionale,

Rispetto al totale delle PMI italiane, quelle del Mezzogiorno sono il 18,5% del totale ma producono solo il 15% del fatturato e del valore aggiunto, contraendo una percentuale grosso modo simile dei debiti finanziari totali. Già da questi primi numeri si evidenzia un divario di competitività che caratterizza le PMI del Mezzogiorno nel confronto con quelle del resto del Paese, rispetto alle quali, a parità di numero, generano minore fatturato e minore valore aggiunto.

Questo divario ha a che fare con vari fattori, primo fra tutti la composizione settoriale, che vede al Sud una presenza più ampia (rispetto alla media nazionale) del settore dei servizi, delle costruzioni e dell’agricoltura, ed una più contenuta del settore dell’industria.

I conti economici seguono il trend nazionale, ma i profitti ristagnano

Per il quinto anno consecutivo, l’andamento del fatturato (+4,4%) e quello del valore aggiunto (+3,5%)  seguono (a breve distanza) il positivo andamento della media nazionale, con livelli in termini nominali al di sopra del livello pre-crisi. Non così i margini, che fanno registrare anche nel 2017 un ritmo di crescita stentata (+0,5%), di pochissimo superiore a quella dell’anno precedente, e lontano dall’andamento nazionale (+3,6%). Il MOL delle PMI meridionali rimane di oltre 33 punti al di sotto del livello pre-crisi, con un divario negativo di 13 punti rispetto alla media delle PMI italiane.

A pesare sulla competitività delle imprese meridionali è un costo del lavoro che nel 2017 è tornato a crescere più del valore aggiunto, portando il CLUP al 69,8%. Sono stabili gli utili (pari al 4,2% del fatturato), ma anch’essi sui livelli più bassi della media italiana (4,9%, in leggero aumento rispetto all’anno precedente),così come è stabile la redditività del capitale investito che beneficia ancora dell’onda lunga generata dal calo degli oneri finanziari (il ROE è pari all’9,6%, di poco meglio del 9,5% dell’anno precedente e distante dall’11,2% della media nazionale).

Continua il trend di miglioramento della sostenibilità finanziaria delle PMI meridionali iniziata dal 2012. In primo luogo, ha contribuito la crescita del capitale netto, salito di un ulteriore 6,8% nel 2017, con incremento complessivo rispetto ai livelli pre-crisi di 39 punti percentuali. Si è quindi fortemente ridotto il peso dei debiti finanziari rispetto al capitale netto, che è sceso al 77,8% (127% nel 2007), e quello tra debiti finanziari e MOL, pari a un multiplo di 3,7 (4,6 nel 2007). Un secondo elemento che ha favorito il rafforzamento della sostenibilità finanziaria delle PMI è costituito dal costo del denaro, che si mantiene sui minimi grazie alla politica ancora espansiva della Banca Centrale Europea. Le PMI del Mezzogiorno hanno continuato a beneficiare dei bassi tassi di interesse: il rapporto tra oneri e debiti finanziari è in calo dal 4,6% al 4,1%, con una riduzione del differenziale rispetto al resto del Paese.

Primi campanelli d’allarme

Proprio i movimenti dello score indicano un possibile rischio di frenata di questo trend di miglioramento, a partire da fine 2018: per la prima volta dopo il picco della crisi, le PMI che vedono peggiorare il proprio merito di credito tornano a crescere (dal 25,6% al 26,7%) mentre calano di 1,3 punti percentuali quelle che lo migliorano. Questi movimenti riflettono il rallentamento dell’economia osservato nell’ultima parte del 2018, evidenziato anche da alcuni degli indicatori più sensibili alla congiuntura monitorati nel Rapporto.

Per la prima volta dal 2012 tornano infatti ad aumentare i giorni di ritardo (a 20 giorni, con un divario che torna ad ampliarsi rispetto alla media nazionale), così come ha ripreso a crescere la quota di PMI in grave ritardo, (aziende che sforano di oltre 60 giorni le scadenze pattuite), situazioni di difficoltà che possono precludere a mancati pagamenti o casi di default.

Ulteriore campanello di allarme suona con riferimento alle chiusure di impresa. Nel 2018 tornano a crescere i fallimenti (+5,3%), per la prima volta dal 2014, mentre il dato nazionale continua a segnare un sia pur minimo calo. Aumentano anche le liquidazioni volontarie di PMI in bonis (+5,1% nel 2018 rispetto al 2017), possibile sintomo del peggioramento della percezione sulle aspettative future di profitto degli imprenditori meridionali. Cosicché il tasso di ingresso in sofferenza sembra aver rallentato la sua discesa (è oggi pari al 3,3% degli affidati). Segnali ancora contenuti, ma che coincidono con la percezione di un diffuso peggioramento dello scenario economico, a livello internazionale, nazionale e locale

Ampie le differenze regionali

A spiegare i risultati nel complesso non pienamente soddisfacenti delle regioni del Mezzogiorno concorre l’osservazione di una ampia differenziazione regionale. Si possono, infatti, osservare due gruppi di regioni meridionali: un primo gruppo, che comprende Campania, Puglia, Basilicata, e per certi aspetti, la Calabria, mostra un più positivo andamento di medio periodo (ovvero dal 2007) con riferimento ai principali indicatori di risultato (numero di imprese, ricavi, margini, redditività, affidabilità creditizia, indebitamento); ed un secondo gruppo, composto delle altre 4 regioni (Abruzzo, Molise, Sardegna, Sicilia), che le vede costantemente agli ultimi posti del ranking rispetto alle stesse caratteristiche.

Da una parte, le PMI delle Regioni del primo gruppo, (che sono anche le regioni con più solido tessuto manifatturiero, ad esclusione della Calabria) sembrano aver superato meglio la crisi; dall’altra ’indebolimento della presenza imprenditoriale (in particolare nel settore manifatturiero) è stato più forte e più lunga sembra la strada per la ripresa.

I risultati delle PMI meridionali sembrano insomma aver raggiunto un punto critico. Fino al 2017, si osserva una ripresa caratterizzata dal ripopolamento del tessuto di PMI e dal recupero di fatturato e valore aggiunto. Nel corso del 2018 si avvertono segnali di rallentamento che potrebbero abbattersi su un sistema di PMI uscito dalla crisi con un maggior grado di solidità economico-finanziaria, ma con livelli di redditività ancora troppo bassi. In questo quadro di debolezza congiunturale, è necessario intervenire su tre fattori: la capitalizzazione e la crescita dimensionale, l’apertura del capitale, la propensione all’esportazione.

Quanto al primo punto, negli ultimi anni (2016 e 2017) accelera la crescita del capitale netto delle PMI del Mezzogiorno, con una intensità di poco inferiore rispetto a quella nazionale. La difficoltà di accesso al credito bancario spiega in parte questa iniezione quasi “forzata” di capitali in azienda, che vanno tuttavia meno a riserva di quanto non accada per il complesso delle PMI del Paese. Il patrimonio netto delle PMI meridionali (pari a poco meno di 2,8 milioni di euro) rimane mediamente più ridotto di quello del resto del Paese (3,2 milioni). Questo divario è dovuto alla minore capitalizzazione delle medie imprese del Mezzogiorno:

Nel bacino delle 30 mila PMI meridionali di capitali analizzate sono state individuate più di mille società che hanno caratteristiche compatibili con l’acquisizione da parte di un fondo di private equity (per crescita dei ricavi, profitti e generazione di cassa) o che hanno caratteristiche finanziarie, di governance e di leadership molto simili a quelle delle società già quotate. Si tratta di imprese che potrebbero “aprire” il loro capitale ad apporti esterni, quotandosi o favorendo l’investimento dei fondi di private equity nel proprio capitale sociale.

Il terzo ambito di crescita potenziale delle PMI meridionali è rappresentato dall’internazionalizzazione. Su un totale di circa 30 mila imprese, attraverso un’analisi su dati ufficiali e dati tratti dal web, sono state individuate poco meno di 2.500 aziende con una forte vocazione internazionale, pari a circa l’8,7% del totale, con una presenza molto più ridotta del 20,7% della media nazionale.

Per la gran parte delle PMI meridionali, si tratta di una grande opportunità ancora da cogliere. Le PMI fortemente esportatrici del Mezzogiorno, hanno fatto infatti registrare dati di bilancio (oneri finanziari, redditività, liquidità) migliori delle altre e, in particolare, una crescita del valore aggiunto tra 2009 e 2017 di 11 punti superiore rispetto alla media delle PMI del Mezzogiorno, con una frenata nel 2017 (“solo” +1,9%) che costituisce un (ulteriore) campanello di allarme sul possibile rallentamento in corso.

Nuvole all’orizzonte: incerte le prospettive per il 2019

I timori di rallentamento dell’economia trovano conferma nelle previsioni di Confindustria e Cerved, secondo le quali, nel 2019 e nel 2020, fatturato e valore aggiunto delle PMI meridionali dovrebbero crescere in maniera contenuta, di poco inferiore a quella già ridotta del resto del Paese. I margini, stagnanti fino al 2017, potrebbero ulteriormente rallentare e contrarsi nel 2019, mentre gli indici di sostenibilità finanziaria confermano la stabilizzazione su valori che, tuttavia, non riescono a colmare il divario con il resto del Paese. Comincia, dunque, a farsi più concreto il rischio che il recupero, avviatosi a partire dal picco degli anni di crisi, possa rallentare la sua corsa: la messa in campo di azioni di lungo periodo per contrastare questa tendenza appare pertanto più urgente.

Il Rapporto PMI Mezzogiorno per il 2019 restituisce dunque un’immagine in due fotogrammi. Uno, fino al 2017, in cui prevalgono le luci, in cui i fondamentali delle PMI di capitali e, in generale, il loro stato di salute sono buoni e in miglioramento; l’altro, più recente, in cui i segnali di rallentamento iniziano a farsi più evidenti e con essi il rischio di una vera e propria frenata si fa via via più concreto, sebbene tali segnali non siano ancora riscontrabili nei dati di bilancio. Il rischio è ancor più serio, se si considera che nel 2018, per la prima volta dal 2012, sembra essersi invertita la tendenza dell’aumento della nascita di nuove imprese di capitali.

In conclusione, dopo una primavera fatta di risultati economici incoraggianti lo scenario economico meridionale inizia ad essere popolato di nubi, e il ritmo della ripresa si fa più affannoso. Al Mezzogiorno servono dunque più imprese eccellenti, cioè più robuste, più capitalizzate, più aperte e più internazionalizzate per premere di nuovo sull’acceleratore.

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