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Gennaio 2019

Le PMI pronte alla crescita: i target per i fondi di Private Equity

Analisi sul profilo delle PMI target naturali per i fondi di private equity che risultano essere società mediamente piccole, che operano nei servizi e che si trovano nel sud e nelle isole. Spesso sono PMI familiari vicine al cambi

In Italia il numero elevato di PMI rende il mercato del private equity potenzialmente molto consistente e la sua promozione potrebbe dare un contributo importante alla crescita del paese. Cerved ha, quindi, fatto una analisi per individuare le PMI su cui i fondi di private equity potrebbero investire per favorire il salto dimensionale dell’impresa.

Le imprese con potenzialità di crescita sono state individuate con riferimento ai parametri più frequentemente utilizzati dai fondi di private equity, che riguardano la capacità delle imprese di crescere, generare cassa e profitti. Viceversa, visto il ruolo di supporto finanziario svolto dai fondi di private equity, che tipicamente ridisegnano completamente la struttura finanziaria dopo un’acquisizione, non sono state fatte considerazioni sulla sostenibilità finanziaria di queste aziende.

Nel dettaglio i parametri considerati sono i seguenti:

Cerved ha, quindi, fatto una analisi per individuare le PMI su cui i fondi di private equity potrebbero investire per favorire il salto dimensionale dell’impresa.

  • una storia recente di forte crescita dell’azienda,sintetizzata da un aumento medio annuo composto dei ricavi di almeno il 10% nell’ultimo quinquennio (1);
  • un elevato EBITDA, in questo caso approssimato dal rapporto tra margine operativo lordo e fatturato, almeno superiore al 10%;
  • una forte capacità di generare cassa, per cui si è scelto di considerare un rapporto tra cashflow e fatturato superiore al 10% secondo l’ultimo bilancio disponibile.

(1) Per le imprese per cui è già disponibile il bilancio 2017, si considera il quinquennio 2017-2012, altrimenti il quinquennio 2016-2011; per le imprese non attive nel 2011 si considera il tasso medio annuo di crescita osservato nel corso degli ultimi quattro anni o negli ultimi tre anni.

In base al criterio della crescita dei ricavi,sono state individuate tra le società non quotate e non nel portafoglio di fondi di private equity circa 42 mila PMI con un tasso medio annuo composto di crescita di almeno il 10% tra il 2017 e il 2012. Di queste,35 mila sono imprese piccole e poco meno di 7 mila sono medie. A questo insieme di società si aggiungono 1.237 grandi imprese che hanno accresciuto i ricavi con tassi a doppia cifra nel corso dell’ultimo quinquennio.Un terzo di queste aziende sono PMI in cui nessuna famiglia controlla più del 50% dei voti; i due terzi restanti sono PMI familiari (28 mila), costituite soprattutto da società chiuse a membri esterni alla famiglia (15 mila), poi da società in cui c’è almeno un socio o un amministratore esterno (9 mila)e infine da aziende che hanno un AD esterno(4.470).

Se al criterio della crescita si combina il criterio dell’EBITDA, il numero di PMI selezionate scende da 42 mila a 4.672, di cui 3.965 piccole imprese e 707 medie società (più 129 grandi aziende). Nella maggior parte dei casi si tratta di aziende familiari (3.208mila), che per più della metà (1.704) sono società chiuse a membri esterni.

Infine, se si considera anche il criterio della generazione di cassasi individuano 4.386 PMI che in base ai parametri definiti sono eligible da parte di fondi di private equity.

Tra queste si contano 3.705 società piccole e 681 medie imprese, a cui si possono aggiungere 123 grandi imprese. Tra queste 4.386 PMI eligible, quelle che potrebbero aprire con maggiore probabilità il proprio capitale a fondi di private equity sono le 1.380 in cui nessuna famiglia ha la maggioranza dei voting rights. Tra le società familiari,448 hanno già ingaggiato un manager esterno alla famiglia come AD e quindi sono potenzialmente più interessate a operazioni con i Fondi e 965 hanno almeno un socio esterno. Infine sono 1.593 le PMI teoricamente più‘conservative’, in cui il comando è completamente in mano alla famiglia. Di queste, però, se ne contano più di 500 in cui è ragionevole supporre un prossimo passaggio generazionale, dato che tutti gli esponenti di queste aziende hanno superato i 55 anni. Se si amplia il punto di vista a tutte le società familiari, il numero cresce a 906 imprese.

Le 4.386 PMI eligible per fondi di private equity sono presenti in tutta la Penisola: nel Nord-Ovest se ne conta il numero assoluto maggiore (1.447, il 2,9% del totale delle PMIcon sede nell’area), ma è il Mezzogiorno in cui c’è la maggiore presenza relativa (il 3,3%). D’altra parte, l’elevata presenza di PMI interessanti per fondi di private equity è associata nel Mezzogiorno a una maggiore percentuale di società familiari, potenzialmente meno disponibili ad aprirsi a fondi.

Dal punto di vista settoriale queste PMI operano prevalentemente nei servizi (2.288) e nell’industria (1.269) e sono mediamente più innovative rispetto al resto delle PMI. Il settore in cui opera l’impresa è una variabile che influenza in modo importante le scelte di chi investe in private equity. Generalmente, la storia di crescita dell’impresa deve infatti essere supportata da aspettative di crescita futura,ben sintetizzate da previsioni di crescita del settore. In secondo luogo, i private equity preferiscono investire in settori frammentati, in cui la crescita dell’impresa possa essere accelerata da operazioni di M&A.

Utilizzando le previsioni di crescita di Cerved in oltre 200 settori dell’economia italiana e indici di concentrazione (2) calcolati per quegli stessi settori, è possibile collocare le 4.386 PMI eligible in una matrice che incrocia le previsioni di crescita con la frammentazione dei settori: con criteri molto stringenti, è possibile individuare 137 PMI che operano in settori previsti in forte crescita nel triennio 2018-2020 (più del 5% all’anno) e molto frammentati; con criteri meno stringenti, che prevedono settori in crescita nel triennio (più del 3% all’anno) e settori con un grado di concentrazione basso o medio, il numero di PMI salirebbe a 2.238.

(2) Si è considerato l’indice di Herfindal, che è dato dalla somma dei quadrati delle quote di mercato delle imprese che operano in un dato settore.

In un capitalismo relazionale come quello italiano, è plausibile che la vicinanza tra i manager del mondo finanziario e quelli del mondo imprenditoriale sia un fattore rilevante perché opportunità di investimento dei fondi di private equity si materializzino. La possibilità di rappresentare tutte le imprese e gli esponenti in un enorme grafo di relazioni consente di mappare una ‘distanza’tra chi siede nel Cda dei fondi di private equity e gli esponenti (soci e amministratori) delle società eligible, in termini di numero di nodi che separano i soggetti esaminati: nell’esempio del grafico, Adriano e Nerone sono relativamente vicini, perché sono collegati attraverso Caligola e le imprese in cui siedono nei Cda (per un totale di 5 nodi).

Pesando l’importanza delle relazioni che legano i singoli nodi (ad esempio in base alla quota del capitale sociale detenuta, all’importanza del ruolo delle persone, ecc.) è stato definito un network score, una misura normalizzata tra 0 (massima distanza) e 100 (minima distanza) tra due noti del grafo. Sono solo 170 le PMI eligible con esponenti che sono ‘molto vicini’ (network score superiore a 70) ad almeno una persona che siede in uno dei Cda dei fondi di private equity e solo 572 gli esponenti mediamente distanti(score compreso tra 50 e 70). Di queste PMI poco più della metà (rispettivamente, 90 e 287) sono familiari e poche quelle in cui tutti gli esponenti aziendali fanno riferimento alla famiglia di controllo (34 e 87). Più lontani dai radar dei fondi di private equity è possibile individuare 487 società con uno score inferiore a 50 e addirittura 3.153 in cui non è possibile stabilire una connessione: si tratta soprattutto di imprese familiari (2.381),aziende appetibili ma difficili da intercettare senza strumenti di marketing intelligence.

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