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Luglio 2022

Guerra e materie prime : quasi 100 mila imprese a rischio default nel 2022

Con l’attuale scenario 11 miliardi in più di debiti a rischio. Micro e piccole imprese le più esposte agli effetti dell’inflazione. Male trasporti, industria pesante e servizi. Aumenta il divario tra Nord e Centro-Sud

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Gli eventi esogeni di portata epocale che si sono verificati nel triennio 2020-22 – la diffusione della pandemia, lo shock delle materie prime e il conflitto russo-ucraino – hanno impattato sullo stato di salute del nostro sistema produttivo, con forti riflessi anche sull’evoluzione del rischio delle imprese italiane.

La netta riduzione del giro d’affari e le incerte prospettive dovute all’emergenza sanitaria hanno generato un’impennata della probabilità di default delle imprese nel 2020. Nonostante questo, le tempestive misure di salvaguardia adottate durante la pandemia hanno contribuito a mitigarne gli effetti mettendo in sicurezza il sistema e contenendo l’aumento dei default. Successivamente, il forte rimbalzo delle performance economiche e le aspettative ottimistiche legate agli effetti del PNRR hanno stimolato un miglioramento delle prospettive di rischio nel corso del 2021.

La congiuntura economica è tuttavia nuovamente cambiata nei primi mesi del 2022: l’intensificazione dei rincari dei prezzi delle materie prime e, soprattutto, la destabilizzazione del quadro geopolitico internazionale seguita al conflitto russo-ucraino, hanno rallentato il percorso di ripresa della nostra economia. In questo nuovo scenario, i dati sul rischio fotografano un peggioramento delle prospettive delle imprese, accentuato anche da altri fattori – l’inflazione, l’aumento del costo del debito, il phasing out delle misure di sostegno – che aggravano la capacità di tenuta di un sistema già debilitato dal Covid.

Grazie a un’analisi granulare sull’andamento degli indici di rischio di 618 mila società di capitale nel periodo 2019-2022, Cerved ha approfondito gli effetti della pandemia e gli impatti della nuova congiuntura sulla rischiosità del nostro sistema di imprese. I dati del Cerved Group Score – un indice di rischio ampiamente utilizzato sul mercato per valutare la probabilità di default delle controparti – fanno emergere una nuova crescita delle società rischiose, dopo il picco raggiunto durante il Covid (134 mila, il 21,7% del totale). Tra 2021 e 2022 le società a rischio di default passano infatti da una quota del 14,4% al 16,1% del totale, aumentando di 11 mila unità e portandosi a quota 99 mila.

In base agli ultimi dati a disposizione, i debiti finanziari iscritti nei bilanci di imprese a rischio di default ammontano a 107 miliardi di euro (il 10,7% del totale), in aumento di 11 miliardi rispetto allo scenario pre-conflitto.

Sul fronte dell’occupazione, sono 831 mila i lavoratori impiegati in imprese a rischio di default, l’8,5% del totale, in aumento di quasi 129 mila unità rispetto al 2021 (7,2%). A questi si aggiungono gli oltre 2,1 milioni di addetti che lavorano in società considerate vulnerabili (21,9%; + 228 mila rispetto al 2021), per un totale di oltre 3 milioni di occupati in società fragili (il 30,5%).

I dati di dettaglio dimensionale fanno emergere peggioramenti più consistenti tra le micro (dal 14,9% al 16,7% di imprese in area di rischio) e le piccole imprese (dall’8,0% al 9,9%), già maggiormente impattate dalla pandemia e più esposte agli effetti dei rincari, con il gap rispetto alle medio-grandi che tende ad ampliarsi.

A livello settoriale, i dati evidenziano impatti piuttosto diversificati sulle prospettive di rischio. I macro-comparti che evidenziano i peggioramenti più significativi sono le costruzioni (dal 15,2% del 2021 al 17,6% del 2022) e i servizi (dal 14,9% al 16,7%), mentre il settore energetico, nonostante l’aumento della rischiosità nel 2022, rimane l’unico ad attestarsi su livelli inferiori al pre-Covid (15,0% nel 2022 contro il 15,1% del 2019). A livello più disaggregato, sono 111 i settori che tra 2021 e 2022 mostrano un aumento della quota di imprese in area di rischio. I più impattati dalla nuova congiuntura appartengono prevalentemente a tre comparti di attività: i servizi non finanziari, penalizzati dall’interruzione del percorso di recupero post-Covid, i trasporti e l’industria pesante, che risente in misura maggiore dell’aumento dei prezzi dell’energia e dei materiali. I maggiori peggioramenti si registrano nella gestione aeroporti (34,8% delle imprese a rischio nel 2022; +24,7 p.p. rispetto al 2021), nella siderurgia (26,4%; +12,1 p.p.) e nella ristorazione (30,1%; +11,7 p.p.).

Nel corso degli ultimi anni l’aumento della rischiosità delle imprese è stato diffuso in tutte le aree del Paese, con i dati che mostrano un ampliamento del divario tra il Nord e il Centro-Sud. Il Centro fa registrare il peggioramento più significativo tra 2021 e 2022 (dal 16,9% al 19,3%) diventando l’area con la maggiore incidenza di imprese rischiose, mentre nel Sud si osserva la percentuale più elevata di imprese fragili (rischiose e vulnerabili), il 60,1% del totale. Le province più impattate dal cambiamento della congiuntura sono Isernia (23,7%; +4 p.p.), Sud Sardegna (20,4%; + 3,5 p.p.) e Matera (20%; +3,3 p.p.), mentre la provincia con la maggiore presenza di imprese a rischio nel 2022 è Crotone (24,6%).

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